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Considera la vita come una casa. Nella casa passiamo da una stanza all’altra,
ma siamo sempre solo in una stanza, mai
in tutte le stanze contemporaneamente. Le altre stanze comunque
continuano ad esistere, anche se non ci siamo,
anche se sono fuori dalla nostra attenzione, completamente dimenticate.
Così è la vita. E’ anch’essa una struttura fatta di trame di pensieri che si
raccolgono a formare ambiti omogenei di tensione che possiamo chiamare stanze. Noi siamo sempre in una stanza, sempre nell’ultima che abbiamo
costruito, che stiamo costruendo standoci, ma tutte le altre continuano ad
esistere, anche se non ci siamo, e anche se sono fuori dalla nostra attenzione.
Possiamo tornarci quando vogliamo, anche se lo facciamo raramente. Basta uscire
dalla stanza in cui siamo ed entrare nella altre, che sono disposte intorno
all’ultima in cui eravamo in maniera casuale, mai in successione, sebbene
comunque siano tutte collegate. E infatti ci basta entrare in una stanza e
subito dopo ci troviamo dentro ad un’altra, e poi ancora, attraversando porte
che si aprono ma che non siamo noi ad aprire, e che collegano tutte le stanze
secondo un disegno e un percorso ogni volta diverso, mai prevedibile.
In una di queste stanze trovremo ad un certo punto un lavoro cominciato e non
finito, così ci metteremo all’opera, utilizzando il lavoro cominciato come
fondamento per costruire la nuova stanza, quella nella quale saremo domani, o
tra un minuto.
La vita dunque non è un succedersi di giorni, o di stanze, o di ambiti omogenei
di stati d’animo e di pensieri che si formano a costituire esperienze e che
subito dopo svaniscono; è la casa nella
sua interezza, e nella presenza di tutte le sue infinite stanze; è un unico
lungo giorno, che comincia quando nasciamo e termina quando moriamo. O forse
non termina, come qualcuno crede; e in effetti questa infinita struttura
composta di infiniti ambiti di tensione omogenea sembra così solida e concreta
che è facile pensare che sia indistruttibile.
Ma questo, cioè il fatto che termini o meno, non è importante. Che
la casa abbia una stanza sola, o ne abbia mille, non cambia il fatto che sempre una casa è;
cioè: la quantità non è un fattore che può influire sulla qualità. Che tu viva
un giorno o cento anni avrai sempre vissuto una vita. Cioè avrai comunque fatto
esperienza del Tutto, al pari di Dio. La quantità non è un fattore
significativo: cento dolci di ricotta, o un dolce solo, hanno lo stesso sapore.
Questo è l’errore nel quale tutti viviamo, ed è al tempo stesso la prova
concreta del fatto che viviamo nell’errore: nel ritenere, cioè, che cento dolci
di ricotta siano più buoni di un dolce solo. Siamo ormai abituati a pensare la
morte come una tragedia, ma solo perché pensiamo che la qualità della vita si
misuri avendo come metro la quantità. La quantità delle cose fatte, o, nel caso
di morte prematura, la quantità delle cose che si sarebbe potuto ancora fare. Ma questo è solo un pensare da
bottegai, da ragionieri, ed è il modo in cui ci siamo ridotti a pensare.
Prima invece pensavamo come poeti, cioè pensavamo che ogni cosa fosse collegata ad ogni altra
cosa, che noi stessi fossimo collegati a qualsiasi altra cosa, e che quindi noi
stessi fossimo qualsiasi altra cosa. Questa è la qualità della vita, cioè di
quella vita della quale un secondo vale un’eternità.