Volume primo.
Capitolo secondo
Il cervello e la mano
…Così grazie a questa organizzazione, la
mente, come un musico, produce in noi il
linguaggio e noi diventiamo capaci di parlare. Non avremmo certo mai goduto di
questo privilegio, se le nostre labbra avessero dovuto assolvere, per i bisogni
del corpo, il compito pesante e faticoso del nutrimento. Ma le mani si sono assunto
questo compito, e hanno lasciata libera la bocca perché provvedessa alla
parola.
Gregorio di Nissa
Trattato della creazione dell’uomo, 379 d.C.
C’è
assai poco da aggiungere a questa citazione, se non un commento a ciò che era
già evidente milleseicento anni fa. La mano che rende libera la parola:
esattamente a questo giunge la paleontologia. Se la paleontologia vi giunge seguendo una via molto diversa da
quella di Gregorio di Nissa, essa parla tuttavia come lui di “liberazione” per
indicare l’evoluzione verso il vertice della coscienza umana. In realtà, in una
prospettiva che va dal pesce dell’Era
primaria all’uomo dell’Era quaternaria, sembra di assistere a una serie di
liberazioni successive: quella dell’intero corpo rispetto all’elemento liquido,
quello della testa rispetto al suolo, quello della mano rispetto alla
locomozione e, infine, quella del cervello rispetto alla maschera facciale. (…)
Il mondo vivente matura da un’età all’altra, e operando una scelta di forme
pertinenti si pone in luce una lunga strada in regolare ascesa sulla quale ogni
“liberazione” segna una accelerazione sempre più notevole.
In questa concatenazione, le forme più pertinenti sono quelle che in ogni
momento dello svolgimento presentano
l’equilibrio miglore sotto il triplice aspetto della nutrizione, della
locomozione e degli organi di relazione, nella mobilità e nella vivacità,
caratteristiche fondamentali delle specie scelte per dimostrare la progressione
ascensionale del mondo vivente. Sarebbe allo stesso modo possibile dimostrare i
vantaggi biologici della fissità, in quanto la longevità geologica della medusa o dell’ostrica offre
una testimonianza a favore in tal senso; nell’evoluzionismo tuttavia, più che elogiare
i meriti di una evoluziione al rallentatore, occorre mettere in rapporto il
mondo vivente con l’uomo attuale.
Indipendentementeda qualsiasi ricerca sul significato filosofico
dell’evoluzione, costituisce perciò un procedimento normale e scientifico
constatare fino a che punto l’acquisizione dello spazio e del tempo,
caratteristica dominante dell’uomo, impronti in modo sorprendente tutte le
testimonianze scelte per illustrare la sua ascesa.
La mobilità potrebbe essere considerata ,’elemento importante dell’evoluzione
verso l’uomo. I paleontologi non lo
hanno tralasciato. Era tuttavia più naturale prendere come caratteristica
dell’uomo l’intelligenza cjhe non la mobilità, per cui le teorie si sono basate
in primo luogo sulla preminenza del cervello, il che, soprattutto dai primati
in poi, ha sovente falsato l’interpretazione dei fossili.
La conquista dell’aria libera,l’affrancamento dalla reptazione, l’accesso alla
biopedia costituiscono altrettanti temi assai bene studiati da più di mezzo
secolo; ma è comunque significativo il fatto che appena dieci anni fa si sarebbe accettato
quasi più facilmente un quadrupede con un cervello già umano che un bipede
cerebralmente in ritardo come l’Australopiteco.
Questo punto di vista “cerebrale” dell’evoluzione appare oggi inesatto e sambra
che esista una documentazione sufficiente a dimostrare che il cervello si è
avvantaggiato dei progressi dell’adattamento locomotore anzicché provocarli.
Organizzazione dinamica degli animali
Gli
animali si distinguono dalle piante in quanto la loro nutrizione comporta la
presa di alimenti in quantità assai voluminose che vengono trattate con
procedimenti meccanici prima che intervengano i processi chimici di
assimilazione. In altri termini, negli animali la nutrizione è legata, in modo
molto più evidente che nei vegetali, alla ricerca, cioè allo spostamento degli
organi di cattura e del dispositivo di individuazione.
Malgrado questo carattere generale di mibilità, il mondo animale comporta, fin
dalle origini, una percentuale notevole di specie che, senza adottare il
processo di nutrizione esclusivamente chimico dei vegetali, si sono adattate a
catturare immobili gli alimenti.
In base a ciò, le specie animali si dividono in due tipi di organizzazione
dinamica: l’uno, il cui corpo è costituito secondo un piano di simmetria
radiale, l’altro, in cui le parti del corpo sono ordinate secondo un piano di
simmetria bilaterale.
Idre, attinie e polipi offrono l’immagine perfetta di una organizzazione nella
quale la locomozione non ha alcuna parte, e l’organismo risponde a un sistema
radiale.
La simmetria bilaterale.
Lo schema secondo il
quale l’intero organismo si dispone dietro l’orifizio alimentare è presente nei
protozoi più nobili e costituisce lo schema normale degli animali.
La polarizzazione anteriore della bocca e degli di prensione presso gli esseri
mobili è il fatto fondamentale dell’evoluzione verso forme di vita superiori.
… La mobilità comporta, per provvedere al sostentamento alimentare, la stessa
polarizzazione anteriore degli organi di
relazione che assicurano
l’orientamento, il reperimento, il coordinamento degli organi di prensione e di
preparazione del cibo, così che, dall’acquisizione del movimento fino a noi, si
tratti dell’insetto, del pesce o del mammifero, il dispositivo animato presenta
la stessa struttura generale. Si crea in questo modo, attraverso la
polarizzazione dei diversi organi, un campo
anteriore nel quale si svolgono le operazioni complesse della vita degli
animali a simmetria bilaterale.
Il Vertebrato.
Verso la metà dell’Era
primaria, nel Siluriano e nel Devoniano, apparvero i primi Vertebrati, i Pesci
ostracodermi, ancora sprovvisti di mandibole, i quali svelano il piano di
organizzazione dei Vertebrati nella sua forma più antica e schematica. Come nei pesci attuali, il loro corpo si divide già in due parti,
quella anteriore simile a una scatola ossea solida, quella posteriore articolata in ampie squame
e terminante con la coda. La parte locomotrice è strutturata secondo un asse
longitudinale di natura fibrosa, la notocorda, lungo il quale corre il midollo
spinale le cui derivazioni nervose presiedono alle contrazioni dei gruppi
muscolari disposti in serie bilaterali a formare i fianchi dell’animale e
protetti dalla armatura flessibile delle squame. Il dispositivo locomotore,
della massima semplicità, è costituito dalle due fasce muscolari le cui
contrazioni alterne fanno muovere il remo caudale.
La testa è un contenitore piatto formato da piastre embricate, attraversato da
orifizi, e raccoglie gli elementi del campo di relazione anteriore… Le
mandibole sono assenti, e la bocca è una apertura a forma di ventosa la cui
parte periferica è dotata di organi elettrici. La scatola cerebrale protegge il
fragile dispositivo nervoso che
raggruppa all’estremità del midollo spinale i comandi degli organi
sensibili alla luce, alle vibrazioni, al gusto, all’odorato….
Tutti gli elementi che permettono di analizzare i vertebrati, fino all’uomo,
sono presenti: scatola cranica rigida, che struttura la bocca e protegge il
cervello, organi motori strettamente legati alla base della scatola cranica e
arto anteriore situato in modo ambiguo
tra i due…
I paleontologi hanno accertato che la mandibole dei vertebrati deriva da uno degli archi che sostengono le branchie. Il processo preciso che ha termine con l’apparizione, fin dal Devoniano, di pesci dotati di mandibola articolata non è completamente chiaro, ma è certo che partire da quest’epoca il cranio dei vertebrati acquista una funzione nuova, la più importante: quella di sostegno delle mandibole. In seguito le esigenze meccaniche della locomozione e le esigenze del funzionamento delle mandibole domineranno tutta l’evolizione del cranio.
Fin dal Devoniano (410/360 mil. di anni fa), quando i pesci senza mandibole raggiungono l’apogeo, , i tre ordini degli Elasmobranchi, dei pesci ossei e dei Dipnoi offrono un punto di partenza indiscutibile per l’evoluzione verso le forme superiori. Certi tipi, filogeneticamente e funzionalmente, sono già pesci attuali e gli antenati dei Celacanti e dei Dipnoi moderni lasciano vedere i segni precursori dell’adattamento all’aerobiosi.
Tutto il mondo animale si è diviso, fin dall’inizio, in un numero relativamente limitato di tipi funzionali e la scelta avveniva, mediante compromessi, tra l’immobilità e il movimento, tra la simmetria radiale e la simmetria bilaterale. Dal putno di vista della “riuscita biologica” l’una e l’altra via hanno portato a esiti ugualmente brillanti. Le meduse sopravvivono senza variazioni da parecchie centinaia di milioni di anni, mentre gli animali mobili, attraverso i vertebrati, sono passati attraverso le tappe necessarie per giungere all’intelligenza. I vincitori di questa corsa interminabile, la medusa e l’uomo, costituiscono i due estremi dell’adattamento; tra l’una e l’altra si collocano i milioni di specie che formano le ramificazioni della genealogia terrestre.
La
biologia spiega, almeno sommariamente, la trasformazione delle specie mettendo
insieme la combinazione degli elementi genetici con la selezione naturale. Può inoltre spiegare come l’effetto
cumulativo degli adattamenti all’ambiente porti nel corso del tempo verso un’organizzazione sempre più efficiente
del sistema nervoso. Il passaggio dall’ambiente acquatico all’ambiente aereo,
la comparsa, verso la fine dell’Era secondaria dell’omeotermia che dà agli
uccelli e ai mammiferi possibilità di adattamento notevoli in confronto a
quelle degli animali a sangue freddo, rinnovano ogni volta il registro sul
quale si applica l’adattamento funzionale. Il sistema nervoso è quello che trae
un più palese vantaggio dall’evoluzione,
alla quale conferisce un senso extraorganico, , dato che arriva al
cervello umano.
Questo risultato, che è stato possibile per una sola stirpe, non è concepibile
se non si danno all’origine, molto in basso nel mondo dei Vertebrati,
condizioni favorevoli sufficientemente generiche che diventano pi sempre più
limitate man mano che ci si avvicina ai
tempi attuali. La partenza avviene quindi su una base biologica molto ampia e
profonda, e si può parlare della stirpe umana solamente dimenticando i milioni
di specie nelle quali si verificano, ma imperfettamente, le condizioni favorevoli susseguenti.
La prima e la più importante di queste condizioni è la costituzione del campo anteriore, che influenza la maggior parte delle specie
animali e i Vertebrati nella loro totalità.
L’evoluzione del campo anteriore.
La seconda condizione
favorevole appare in un numero consistente di specie animali: la divisione del
campo anteriore di relazione in due settori complementari, l’uno delimitato
dall’azione della testa, l’altro dall’azione dell’arto anteriore, o, più
esattamente, dall’azione degli organi facciali e da quella dell’estremità
dell’arto anteriore. Il campo anteriore comporta per ciò stesso un polo
facciale e un polo manuale che agiscono in stretta relazione nelle operazioni
tecniche più elaborate.
La collocazione dell’arto anteriore tra la parte cefalica e la parte motoria
del corpo, riveste una certa ambiguità funzionale e sia presso gli Artrpodi che
presso i Vertebrati l’organo della locomozione posto più avanti può
intervenire, a livelli diversi, nella cattura e nella preparazione degli
alimenti. Ciò è soprattutto evidente presso i crostacei decapodi, come il
granchio, nel quale il primo paio di
zampe, sviluppate in pinze, assicura la prensione e lo spezzettamento delle
prede.
Se gli esempi di campo anteriore a due poli sono abbastanza numerosi presso gli
Articolati, essi sono molto numerosi e particolarmente significativi presso i
Vertebrati.
Indipendentemente dalla suddivisione tassonomica delle classi e degli ordini,
il mondo dei Vertebrati si suddivide in due tendenze funzionali, quella in cui
l’arto anteriore è adibito in pratica esclusivamente alla locomozione, e quella
in cui interviene più o meno
limitatamente nel campo anteriore di relazione. L’abbozzo di questa
divisione esiste già al livello dei pesci. Nella maggior parte delle specie di
profondità o di superficie, le pinne pettorali sono legate unicamente alla
locomozione e agiscono come organi di direzione o di spostamento lento. Nelle
specie di fondo, invece, si trovano numerosi casi in cui le pettorali sono
direttamente associate alla ricerca di alimenti, come per esempio nella tinca,
nella quale agiscono come ventagli per sollevare la melma e scoprire le
particelle commestibili…
Negli Anfibi e nei Rettili, l’intervento dell’arto anteriore è molto limitato;
tuttavia in certe specie serve a mantenere il nutrimento sul terreno o a
liberare la bocca da frammenti ingombanti o sgradevoli.
… La collocazione dei Mammiferi richiede una esposizione più dettagliata. Si
tratta di due grandi gruppi, di composizione più o meno omogenea.
Il primo comprende i Primati, gli Insettivori, gli Sdentati e i Chirotteri, i
Roditori, i Cetacei, i Carnivori; il secondo comprende gli Ungulati, in cui
sono inclusi tutti gli animali muniti di
zoccoli, dall’elefante al cavallo, al maiale o al bue.
…Il primo gruppo appartiene alle specie con regime alimentare variabile
(carnivori, frugivori, onnivori) orientato essenzialmente verso gli alimenti
“carnosi”; gli Ungulati invece sono per la maggior parte mangiatori di prodotti
ricchi di cellulosa.
Se si tenta di fare una separazione fra le specie nelle quali l’arto anteriore
interviene nel campo di relazione e quelle nelle quali il suo ruolo è limitato
o inesistente restano solo due gruppi principali: da un lato il primo gruppo
(ad eccezione dei Cetacei) nel quale esistono numerosi casi di intervento; dall’altro gli ungulati e i cetacei, nei quali non si trova nessun caso di
intervento.
… La bipolarità del campo anteriore resta resta un fatto limitato a undici dei
ventisei ordini che costituiscono l’insieme dei mammiferi placentati.
Per quanto riguarda gli undici ordini nei quali ha luogo la bipolarità, in ogni
ordine si rende necessaria una nuova separazione, basata su differenze di grado
spesso molto importanti.
… Da notare che nei Carnivori, gli Insettivori o i Roditori, le specie la cui
attività manuale è più importante sono quelle
in cui, durante la marcia, in ambiente terrestre o arboricolo, ha luogo
di frequente una vera e propria prensione da parte dell’arto anteriore. La caratteristica anzidetta è ancora più sorprendente se si prendono in
considerazione i Primati. In questi ultimi tutte le forme conosciute mostrano
in grado elevato il legame tra l’arto anteriore e il campo di relazione. Si può
dire, inoltre, che esistono delle differenziazioni in questo legame e che, né
dal punto di vista anatomico, né dal punto di vista neuropsichico, la mano del
colobo, per esempio, funziona come quella del gorilla. Vedremo più avanti che
il mondo delle scimmie è vario come quello dei roditori, e che tale varietà offre la possibilità di
capire un po’ attraverso quale
meccanismo l’uomo si presenta così com’è, cioè come l’unica specie vivente
nella quale si operi un ampio collegamento
tra il polo facciale e il polo manuale senza l’intervento dell’arto
anteriore nella locomozione. Prima di esaminare i fatti che consentono di
cogliere quale incidenza abbia avuto il legame fondamentale tra la testa e
l’arto anteriore, bisogna ancora riflettere (prima di abbandonarli) sulla sorte
segli Ungulati, i quali, avendo preso
una via diversa dalla nostra, avendo subito una evoluzione molto maggiore della
nostra nell’adattamento locomotore, si trovano completamente al di fuori
dell’associazione mano-organi facciali. A loro potrebbe applicarsi un’altra
citazione del Trattato della creazione
dell’uomo di Gregorio di Nizza:
“… Tuttavia la natura ha aggiunto le mani al nostro corpo prima di tutto per il linguaggio. Se l’uomo ne fosse sprovvisto, le parti del viso sarebbero state formate in lui, come quelle dei quadrupedi, per consentirgli di nutrirsi: il suo viso avrebbe una forma allungata, assottigliata nella regione delle narici, con labbra prominenti, callose, dure e spesse, adatte a strappare l’erba; ci sarebbe tra i denti una lingua completamente diversa da quella che c’è, carnosa, resistente e ruvida, per impastare insieme ai denti gli alimenti; sarebbe umida, in grado di far passare il cibo sui lati, come quella dei cani o degli altri carnivori, che lo fanno scivolare tra gli interstizi dei denti. Se il corpo non avesse le mani, in che modo si formerebbe in lui la voce articolata? Le parti che circondano la bocca non sarebbero conformi ai bisogni del linguaggio. L’uomo, in tal caso, sarebbe costretto a belare, a lanciare gridi, ad abbaiare, a nitrire, a muggire come i buoi o ragliare come gli asini o far sentire degli ululi come le bestie selvagge.”
Per
quanto riguarda gli Ungulati, è esattamente ciò che dimostrano la paleontologia
e la zoologia attuali: la assenza dell’intervento della mano è, in effetti,
compensata da una specializzazione facciale con modalità estremamente varie.
Non solo si trovano nell’organizzazione della dentatura forme
straordinariamente complicate come il dente del cavallo e quello dell’elefante,
ma si nota anche negli altri organi facciali una grande diversità di struttura
atta a compensare in qualche modo la mancanza dell’arto anteriore. Lo svilippo maggiore si riscontra nelle
appendici di prensione o di difesa, e cioè in quelle che sostituiscono
direttamente la mano o i canini; basti citare le labbra estensibili del
lamantino, la proboscide presente in un numero considerevole di specie viventi
o fossili, da quella del tapiro fino a quella dell’elefante, i corni nasali di
cui i rinoceronti sono gli ultimi possessori nel mondo attuale, i canini
trasformati in grifi, i grugni, le corna o i palchi frontali dei ruminanti.
Evidentemente non si possono prendre alla lettera le affermazioni di Gregorio
di Nissa, ma è importante osservare che alla fine del secolo IV della nostra
era, un filosofo ha avvertito così chiaramente la relazione esistente tra il
linguaggio e la mano. Bisogna notare che
questa relazione
non
viene presentata come una banale partecipazione della mano (attraverso il
gesto) al linguaggio, ma come rapporto organico, in quanto il tecnicismo manuale
corrisponde alla emancipazione tecnica degli organi facciali, rendendoli
disponibili per la parola.
Da tutto quanto precede si deduce che , se una paleontologia basata unicamente
sulle constatazioni anatomiche e cronologiche porta a dimostrare le grandi
linee dell’evoluzione, non esaurisce però l’interesse che presenta un altro
modo di considerare i fatti biologici, legato più al comportamento che alla
sistematica. In realtà, i due aspetti della ricerca sono complementari; è
quanto ho cercato di dimostrare finora. Nel senso da noi prescelto in questa
sede, la ricerca sbocca nella cronistoria di disposizioni funzionali tanto
largamente distribuite nel mondo animale da
spiegare, solo per questo fatto e sulla trama di variazioni per
adattamento sempre più pertinenti, come si sia arrivati a una forma umana
ancora profondamente legata al mondo animale e vicina, evidentemente, a quei mammiferi che sopno stati i più
tardivi ad adottare le forme estreme di integrazione dei due poli nel campo
anteriore.
Dal pesce verso l’uomo.
La percezione del ruolo
fondamentale che hanno avuto nella evoluzione dei Vertebrati le variazioni di
equilibrio tra i due poli del campo anteriore induce ad esaminare più
particolareggiatamente le forme assunte dagli esseri più evoluti
nell’integrazione tecnica nel corso delle diverse tappe della storia degli
esseri viventi. In altri termini si può tentare di abbozzare una paleontologia
funzionale sulla base della enorme documentazione raccolta dalla paleontologia
e dalla biologia dei Vertebrati.
Per raggiuingere tale scopo, è necessario integrare in un’unica prospettiva i
principali elementi funzionali di ciascuno dei tipi che si susseguono nel corso
dei tempi.
Per comodità, questi diversi elementi si
possono ridurre a cinque. Il primo riguarda le esigenze della locomozione, cioè
l’organizzazione meccanica della colonna vertebrale e degli arti. In realtà
questo primo elemento non è dissociabile dai successivi, perché gli organi di
spostamento sono lo strumento che dà l’avvio alla vita di relazione.
Il secondo elemento è la sospensione cranica. Per la sua collocazione
topografica, è lìelemento più sensibile del
dispositivo funzionale; … L’elemento che segue è la dentatura; il
rapporto di questa con la vita di relazione è facilmente comprensibile se si
tiene conto della funzione dei denti nella cattura, nella difesa e nella
preparazione degli alimenti. Il quarto elemento è la mano o, quanto meno,
l’estremità dell’arto anteriore e la possibilità di integrarlo nel campo
tecnico. L’ultimo elemento infine è il cervello, il cui compito di
coordinamento è evidentemente importantissimo, ma che, funzionalmente, si
presenta come l’ “inquilino” di tutto l’impianto del corpo.
… Seguendo nello stesso tempo l’ordine
cronologico e quello della sistematica delle scienze naturali, esamineremo
successivamente, in relazione ai caratteri testè indicati, le grandi tappe
dell’ittiomorfismo, dell’anfibiomorfismo, del sauromorfismo, del teromorfismo,
del pitecomorfismo e dell’antropomorfismo che corrispondono rispettivamente
all’equilibro in ambiente acquatico, alla prima liberazione per quanto riguarda
l’acqua, alla liberazione della testa, alla acquisizione della locomozione
quadrupede eretta, all’acquisizione della posizione seduta e a quella della
posizione eretta.
L’ittiomorfismo
L’organizzazione
dinamica del pesce non ha subito variazioni, dopo la comparsa, nel devoniano,
dei primi pesci muniti di mandibole. In questi la locomozione è fornita
essenzialmente dagli sbattimenti laterali determinati dall’azione dei muscoli
antagonisti, sostenutidall’asse vertebrale. Questo dispositivo serve da
propulsore alla estremità cefalica che gli è strettamente solidale, ed è completato
da pinne che, già dalla metà dell’Era primaria, corrispondono per numero e
posizione, a quelle dei pesci attuali.
L’estremità cefalica comporta, come struttura, una scatola ossea che ha una
triplice funzione: sostenere i denti, consentire l’inserimento dei muscoli
mandibolari, proteggere gli organi di relazione. A questa scatola calvarica si
adatta la mandibola, il dispositivp delle ossa ioidi che sostengono le branchie
e le ossa della cintura scapolare che sorregge lo scheletro dell’arto anteriore.
Questo blocco cefalico è reso solidale con
il corpo senza mobilità, mediante gruppi muscolari, e l’asse vertebrale
non ha qui alcuna funzione particolare di sostegno; esso porta semplicemente
all’interno dell’edificio cranico l’estremità del midollo, che termina con un
minuscolo cervello, sospeso in un modo o nell’altro all’interno della volta.
Gli elementi derivati dall’evoluzione dei vertebrati terrestri sono a
posto, ma un adattamento meccanico li
rimaneggia completamente al momento del passaggio alla vita aerea.
La respirazione aerea e la locomozione
terrestre
Il passaggio alla vita
aerea viene presentato in genere come un fenomeno semplice e unico, un caso
eccezionale di alcuni pesci divenuti anfibi, esempio concreto di come l’enormme
selva dei vertebrati terrestri derivi da un’esigua radice. In realtà gli
zoologi elencano numerosi pesci, nei gruppi più vari, che con qualche artificio riescono ad
assimilare direttamente l’ossigeno atmosferico.
… La respirazione aerea diventa necessaria per alcune specie che vivono in
acqua poco profonda e male ossigenata, e si comprende benissimo il legame
esistente tra l’acquisizione dei mezzi per sfuggire all’asfissia e una
locomozione sulla melma delle paludi alla ricerca delle ultime pozze d’acqua.
Come la simmetria bilaterale, o la scelta tra la prensione e la marcia
esclusiva. La respirazione aerea e la locomozione terrestre costituiscono
perciò una scelta, questa volta tra l’adattamento esclusivo all’acqua e
l’adattamento relativo all’aria.
A questa scelta le specie più diverse hanno rispostoin modo differente l’una
dall’altra. Uno di questi modi corrisponde alla formula del quadrupede anfibio.
… Anche la locomozione terrestre viene ottenuta attraverso vie diverse. Essa può consistere nella semplice reptazione
come nell’anguilla e non differire, nei movimenti, dal nuoto. Può avvenire per
spostamento bocconi, sul fianco. Tutti i pesci tratti fuori dall’acqua vi
ricorrono spontaneamente, ma in alcuni, come l’anabate, può dar luogo a lunghi
spostamenti in una direzione costante. Il caso dei Crossopterigi, e più
particolarmente quello dei Celacantiformi, mi sembra corrispondere a un vero e
proprio adattamento alla locomozione sul fianco. In essi, le pinne sono
sostenute da un peduncolo che somiglia a una corta zampa non articolata. Oltre
le due pettorali e le due ventrali (che costituiscono gli arti dei quadrupedi)
esistono anche tre pinne peduncolate, una da un lato e una dall’altro della
coda, e la terza all’estremità di quest’ultima, disposte in modo tale che l’animale
coricato sull’uno o l’altro dei fianchi dispone di cinque punti d’appoggio per
spostarsi in avanti.
… L’origine degli anfibi andrebbe ricercata (tuttavia) tra i Crossopterigi con corpo cilindrico, nei
limiti in cui si può sperare di trovare
un’origine particolare a un fatto così generale com’è la scelta della
vita terrestre.
L’anifibiomorfismo.
La solozione anfibia è ancora solo una mezza soluzione, si potrebbe dire quasi
una soluzione di attesa, dato che i vertebrati che vi sono pervenuti restano legati
per l’equilibrio cutaneo e per la riproduzione all’elemento liquido dal quale
non potrebbero stare lontani per un tempo molto lungo.
Tuttavia, con gli anfibi più vecchi, i grandi problemi meccanici hanno ricevuto
qualcosa di più che degli abbozzi di soluzione, e i Vertebrati terrestri si
trovano già avviati su una strada definitiva.
I primi anfibi di cui si è in grado di ricostruire la struttura corporea
risalgon al Carbonifero. Nell’aspetto generale ricordano i nostri Tritoni e
Salamandre. L’asse caudale interviene come motore nel nuoto metre quattro
gracili arti servono per la locomozione terrestre. La cintura scapolare è
ancora situata vicino al cranio, così che la mobilità della testa è quasi
nulla, ma gli elementi dello scheletro
di tutti i Vertebrati successivi sono già presenti: il bacino è fatto in modo
da favorire la marcia, le braccia e le gambe hanno le stesse ossa delle
nostre, le mani e i piedi sono a conque
dita.
La struttura cranica presenta particolare interesse. Difatti, il passaggio dall’acqua
all’aria implica nuove prestazioni meccaniche poiché la testa non è più
sostenuta in un ambiente di densità elevata e si trova in equilibrio instabile
all’estremità del corpo. Nei pesci, il fatto che l’animale stia sospeso in
ambiente liquido evita alla testa la necessità di flettersi in senso
verticale. Le prestazioni meccaniche che
intervengono nella costruzione cranica sono limitate all’azione della mandibola
(necessità di trazione dei muscoli masticartori) e alla costituzione nel
mascellare superiore di una struttura d’appoggio che assorbe le pressioni
mandibolari. A questo dispositivo meccanico di trazione-appoggio si aggiunge,
al momento delpassaggio all’aria libera,
l’effetto di sospensione della testa, che si esercita dietro i cranio.
L’e’uilibrio meccanico viene raggiunto grazie a una integrazione sempre più
economica delle tre forme di sforzo.
Il peso si esercita ora su una leva che si estende dalla estremità del muso
(prosthion) fino al punto in cui il cranio si articola sulla colonna vertebrale
(basion). L’edificio cranico è mantenuto in posizione orizzontale dal gioco dei
muscoli e dei legamenti che tirano la parte superiore della nuca (inion
esterno), secondo un braccio di leva inion-basion che controbilancia l’effetto
del peso.
Il conciliare le necessità mandibolari e le necessità di sospensione
costituisce la base di tutta l’evoluzione del cranio dei vertebrati, uomo
compreso. Dentatura e positura sono strettamente legate fin dalle origini. I
paleontologi hanno capito assai presto che la positura verticale e la faccia
corta erano due caratteristiche dell’uomo, ma il legame funzionale che spiega
queste due caratteristiche non è ancora stato individuato con chiarezza. E per
questo che il ritorno alle origini dei vertebrati si rivela indispensabile. Il
cranio degli anfibi offra ancora solo degli abbozzi di soluzione, ma essi sono
già molto significativi. Il cranio di quelli più antichi è ancora molto vicino
a quello dei pesci, ma la spalla è già staccata dal cranio, e la sospensione
iniaca è diventata attiva. La reptazione sul terreno rende necessario uno
strano sforzo perché la mandibola poggia a terra e non ha gioco sufficiente per
afferrare; nelle specie in cui le zampe non sollevano ancora la testa al di
sopra del terreno, la mascella superiore si alza in blocco con tutta la
calvaria, come il coperchio di una scatola. Questa soluzione transitoria fa
intervenire la funzione iniaca e favorisce la mobilità della testa sul tronco.
Basta abbassare il mento, aprire la bocca e sentire come funziona la
muscolatura della nuca per immaginare la situazione meccanica dei primi Anfibi
e la parte da essa rappresentata, insieme all’evoluzione degli arti anteriori,
nella separazione della spalla e nella comparsa del collo. D’altra parte, una
tale struttura viene superata rapidamente e prima della fine dell’Era primaria,
presso gli stessi Anfibi è già intervenuta la soluzione sauriana che permette
un equilibrio meccanico molto più semplice.
Il
sauromorfismo.
Se si segue la selezione tra le forme che coincidono con una evoluzione nel
senso della mobilità e di un’esistenza sempre più ricca e complessa, la tappa
successiva è quella della “lucertola”, legata ancora al suolo dalla reptazione
ma completamente libera dalle difficoltà
respuiratorie degli Anfibi. La formula sauriana appare già applicata nel
Permiano, prima dell’inizio dell’Era
secondaria, più di duecentomilioni di anni fa. I sauromorfi sono i primi
vertebrati che risolvono veramente i problemi di equilibrio meccanico in
ambiente terrestre.
La loro colonna vertebrale ha assunto una convessità accentuata e la funzione
da essa svolta in senso verticale predomina su quella in senso orizzontale: non
si tratta più di un gambo la cui flessibilità laterale guida la locomozione
mediante l’azione dei muscoli che fanno oscillare l’asse corporale, bensì di na
trave sulla quale hanno la loro base la testa e gli arti. Questi ultimi sono
ancora arcuati, ma in grado di sollevare il corpo al di sopra del suolo nella locomozione
e nelle operazioni di cattura e di deglutizione. Pur non corrispondendo a una
liberazione completa per quanto riguarda la reptazione pura, la locomozione
quadrupede strisciante determina trasformazioni decisive nell’edificio cranico,
e comporta, inoltre, una estesa mobilità della spalla e la separazione
definitiva della testa che si muove all’estremità di un vero e proprio collo.
Il cranio dei Sauromorfi è costituito dagli stessi elementi principali di
quello dei Vertebrati precedenti e, peraltro, di di quello degli altri
vertebrati fino a noi. La calvaria forma una specie di guscio a segmento
cilindro-conico; all’estremità anteriore, i denti sono inseriti lungo i bordi, all’estremità
posteriore, l’inion esterna segna il punto di raccordo con la scatola cerebrale.
La scatola cerebrale contiene l’encefalo e si articola al basion con la colonna
vertebrale; lungo i lati e in cima, ponti ossei la tengono sospesa all’interno
della volta calvarica. E’ molto importante notare che il volume della volta
cranica non è determinato dal cervello,
ma dalle necessità meccaniche della trazione mandibolare e della
sospensione della testa. D’altra parte, la posizione del cervello è determinata
dal basion, perché l’estremità dell’asse vertebrale coincide a un tempo con la
fine del midollo spinale e con il punto di rotazione del cranio sul corpo, ma
il suo volume è indifferente fintanto che non raggiunge i limiti entro i quali
la struttura è contenuta. Questo spiega come dal pesce al cane il rapporto di
volume tra la faccia e la volta cranica vari di poco (poiché le proporzioni
sono imposte dal rapporto
dentatura-muscolatura della mandibola), mentre il volume del cervello aumenta
in proporzioni notevoli. La scatola cerebrale è sospesa perciò nella volta
cranica, e i Sauromorfi sono molto lontani dal momento in cui scatola cerebrale e volta condizionata
dalla meccanica si confonderanno. Oltre alla calvaria, il cranio del vertebrato
terrestre comporta la mandibola e lo scheletro ioideo. L’uno e l’altro sono
derivati dal dispositivo branchiale dei pesci primitivi; la mandibola in un
tempo molto remoto; l’arco ioideo nel momento in cui si instaura la
respirazione aerea. Lo scheletro ioideo ha molta importanza perché serve da
base ossea alla muscolatura che fa abbassare la mascella e muovere le lingua.
Gli Anfibi e soprattutto i primi Rettili
inaugurano un dispositivo tecnico che, attraverso la mandibola e la
lingua, o la faringe nella cattura, nella
masticazione e nella deglutizione assolve un ruolo e più avanti si vedrà come,
per mezzo della fonazione cosciente, sfoci nel linguaggio umano.
L’apparato cranico del Rettile sauromorfo presenta proprietà meccaniche
sosprendenti. La sospensione basico-iniaca è diventata uno sforzo
costante, salvo quando l’animale è in riposo sul terreno; le
vertebre cervicali si siono allungate, e la base del cranio, allargata, serva
da piano di inserimento a muscoli che guidano i movimenti in tutti i sensi. Un
robusto legamento si salda all’inion e alle vertebre, e fa alzare la testa con elasticità. La
muscolatura della mandibola è forte, e determina potenti sforzi di trazione che
condizionano le proporzioni della dentatura e quelle della volta. In tal modo
si ha per la prima volta una legge di proporzioni costanti fino all’uomo: la
distanza tra il prosthion e il basion è divisa in due metà uguali: l’una
dentaria, l’altra cerebrale. Il punto medio tra prosthion e basion corrisponde
di conseguenza all’ultimo tubercolo dell’ultimo dente; questo punto costituisce
il centro geometrico della costruzione cranica. Certi tipi di crani presentano
eccezioni, come quello dei Ruminanti, nei quali il cranio dentario è più lungo
del cranio cerebrale, ma la costruzione meccanica è sempre coerente rispetto
alla legge generale, e il centro della
costruzione è semplicemente sdoppiato,
come se tra le due metà craniche intervenisse una striscia
supplementare.
Il Sauromorfo corrisponde pertanto alla prima fase che metta direttamente in
causa la costruzione generale dei vertebrati terrestri, e se si considera in
quale misura la meccanica corporea dell’uomo
resta legata alle stesse necessità, ci si accorge che la maggior parte
del cammino è già stata percorsa: l’asse vertebrale funge da trave maestra
dell’edificio corporeo, gli arti sono resi indipendenti in uno scheletro dalla
formula definitiva, le stremità hanno cinque dita, il cranio, sospeso sul
basion, viene sollevato dai muscoli e dai legamenti attaccati all’inion, la dentatura determina il volume della volta
e le sue dimensioni sono condizionate, d’altra parte, dal complesso meccanico del cranio
posteriore. Tutto il gioco delle interazioni è presente. Solo il cervello,
modesto inquilino della cavità calvarica, rappresenta nell’ìinisieme una parte
meccanicamente passiva: l’apparecchiatura è a sua disposizione ed esso ne è
l’animatore, ma il suo intervento nella dinamica delle forme non è
diretto e immediato; esso si fa sentire
indubbiamente nella selezione darwiniana delle formule più efficaci, ma è impossibile mettere in evidenza il valore
degli impulsi meccanici. Su questo piano considero lo sviluppo del cervello
come un elemento secondario dell’evoluzione generale. Questo non diminuisce
minimamente il fatto ben accertato dell’evoluzione del sistema nervoso verso strutture sempre più cpmplesse.
Evoluzione cerebrale ed evoluzione corporea si inseriscono in un dialogo nel
quale il vantaggio è reciproco. Da un certo punto di vista si può vedere
nell’evoluzione il trionfo del cervello, ma questo trionfo è legato a imperiose
realtà meccaniche, e nell’avanzamento del cervello e del corpo, a ogni tappa il
primo si inserisce nei progressi del secondo. Sarebbe impossibile citare un
esempio di essere vivente il cui sistema
nervoso abbia preceduto l’evoluzione del corpo, mentre si possono trovare
numerosi fossili dei quali si segue a passo a passo lo sviluppo del cervello
entro una struttura acquisita già da lunghi periodi di tempo.
Il teromorfismo
Verso il Permiano,
prima della fine dell’era primaria, si verifica un’avvenimento fondamentale: i
Rettili accedono alla locomozione quadrupede eretta, e i loro arti assumono l’aspetto di quellio
del cane o dell’elefante, e cioè di
colonne che sostengono il corpo al di sopra del suolo. Contemporaneamente le
vertebre cervicali si allungano e il collo diventa adatto a far muovere la
testa in un campo considerevolmente esteso. La nuova tappa superata dal
quadrupede eretto tende verso l’aumento della mobilità, verso l’ampliamento del
cerchio operativo, verso il possesso di uno spazio più vasto. Non è certo, è
persino improbabile che qualcuna delle specie, e forse anche qualcuno degli
ordini conosciuti, si trovi nell’albero genealogico dell’uomo; ma la migrazione
generale delle specie viventi porta inevitabilmente tutte quelle che accrescono
le loro possibilità di relazione verso le medesime tappe, e sarebbe facile, per
il mondo degli Invertebrati nei quali non si è manifestata alcuna aspirazione
genealogica verso l’uomo, descrivere evoluzioni simili.
La tappa teromorfica è una tappa importante, dal duplice punto di vista
dell’evoluzione della mano e dell’evoluzione del cranio. Il suo svilippo è
continuato dalla fine dell’era primaria fino ai nostri giorni e in essa sono conglobati, non solo un
gran numero di Rettili tutti estinti, ma anche la totalità dei mammiferi
fossili e viventi, eccetto gli antropiani. Per meglio chiarire questo sviluppo,
esamineremo successivamente il teromorfismo del Rettili e quello dei Mammiferi
quadrupedi.
I Rettili teromorfi
La fine dell’Era
primaria e l’inizio dell’Era secondaria, tra i duecento e i centocinquanta
milioni di anni fa, segnano il periodo in cui comparvero i Teromorfi rettili:
Essi non hanno dato origine ai giganti
dinosaurici e i più grandi non hanno oltrepassato la dimensione di un
cinghiale, ma, a cinquanta milioni di anni dai primi mammiferi, costituiscono una testimonianza abbastanza
impressionante.
Il loro aspetto generale è quello a noi familiare attraverso i Mammiferi: gli
arti verticali poggiano sulla punta delle dita, come nel maiale, oppure di piatto, come nei tassi, di cui hanno
un po’ l’aspetto generale, e si è più portati
a immaginarli coperti di pelliccia che di una pelle squamosa.
Ciò che colpisce soprattutto è il cranio. In molti di essi il profilo generale
è simile a quello di un mammifero carnivoro: la parte posteriore del cranio è
fortemente modellata, una spessa arcata temporale fa pensare all’arcata
zigomatica dei Mammiferi, la mandibola somiglia a quella di un cane. La
dentatura è ancora più sorprendente. Fino ad allora, i Pesci, gli Anfibi o i
Rettili possedevano (e continuano a possedere) una dentatura di tipo omodonte e
conodonte, cioè composta di denti semplici, conici e tutti chiaramente
identici. I Teromorfi rettili hanno i denti conici, ma diversi tra loro per le proporzioni e
disposti in tre gruppi, come in noi gli incisivi, i canini e i molari. Questa
differenziazione comporta un sistema complicato di cattura, di distribuzione e
di masticazione del cibo, caratteristico dei vertebrati superiori. Allo stadio
in cui la testa ha acquistato un campo di movimento considerevole corrisponde
una specializzazione tecnica della dentatura altrettanto importante. Questo fatto potrebbe parere una semplice
giustapposizione di caratteri progressivi: in realtà, l’architettura cranica rivela il
rapporto profondo che esiste tra l’eterodonzia e le modificazioni posturali.
L’edificio cranico obbedisce alla legge fondamentale di divisione in parti
uguali tra la parte dentaria e la parte cerebrale, ma la leva basilo-iniaca
si è allungata al massimo, e la parte
posteriore del cranio forma un largo piano di inserimento i cui rinforzi ossei
vanno a finire nell’articolazione mandibolare per dare il massimo di resistenza
agli sforzi di trazione della mandibola. L’apparato mascello-dentario ha
acquistato una struttura meccanica complessa, che separa le linee di forza tra
i denti anteriori che afferrano e i denti giugulari che frantumano. I canini,
sul davanti, formano la struttura del muso mediante le radici, con angolazioni
la cui ampiezza si ripercuote in tutta l’architettura della parte posteriore
del cranio. Alla macchina di tipo geometrico delle specie inferiori succede una
macchina complessa, anch’essa coerente in tutte le sue parti, ma già così altamente perfezionata che gli
stessi principi di costruzione si applicheranno ancora, con i debiti
adattamenti, al cranio dell’uomo.
Se si fa il bilancio dell’evoluzione fino a oggi, si constata che i Crossopterigi si sono
sviluppati nel Devoniano e nel Carbonifero, che gli Anfibi iniziano il proprio
sviluppo nella stessa epoca, che i primi
Sauromorfi rettili appartengono al Permiano, come i primi Teromorfi rettili. L’evoluzione
del dispositivo corporeo dei Vertebrati superiori si avvia e si risolve perciò
tra i trecento e i duecento milioni di
anni prima della nostra epoca. All’inizio
dell’Era secondaria non resta quasi nulla da aggiungere e tuttavia i Mammiferi
veri e propri sono ancora molto lontani. Questa situazione trova riscontro
nellaprecocità con la quale gli Antropiani liberano la mano e acquistano la
posizione eretta, molto prima che il cervello raggiunga il livello adatto a
noi. Tale fatto rafforza l’ipotesi da me sostenuta, secondo la quale la
disposizione dell’apparato nervoso segue quella della macchina corporea. I
Rettili teriodonti hanno il corpo da
carnivori, ma il loro cervello ha ancora la dimensione di un cappuccio di
stilografica, sospeso all’interno di una struttura che il cervello del cane
riempirà completamente duecentomilioni di anni più tardi.
I Mammiferi quadrutpedi.
Nell’essenza della loro struttura corporale, i Mammiferi quadrupedi non differiscono dai Rettili teromorfi. Non c’è dubbio, d’altra parte, che essi si siano sviluppati quando già questi ultimi erano in corso, in un vero e proprio ricominciamento. Le prime forme sono, infatti, quelle di infime creature della metà dell’Era secondaria, che impiegarono pressappoco cento milioni di anni per dar vita al flusso dei Mammiferidell’Era terziaria.
La marcia e la prensione.
Quando si prende in esame, al di fuori
di qualsiasi sistemazione zoologica, il
comportamento dinamico dei Mammiferi, si
è portati a distinguere due grandi tendenze:
in alcuni la mano interviene in misura maggiore o minore nelle
operazioni ches si svolgono nel campo anteriore di relazione; in altri solo la
testa è implicata negli atti di relazione.
Ne consegue una suddivisione tra Mammiferi esclusivamente marciatori e
Mammiferi almeno provvisoriamente atti alla prensione. Questi due gruppi
funzionali corrispondono a una suddivisione molto estesa dei caratteri
anatomici e comportamentali, come se si trattasse di due mondi diversi per
destinazione, o della testimonianzadi
due risposte a una scelta fondamentale.
I marciatori sono erbivori, le loro
estremità sono rigorosamente specializzate a marciare, il cranio presenta un
tipo architettonico comune a tutte le forme; molti di essi dispongono di organi
particolari, derivati da tratti anatomici facciali diversi: corna frontali dei ruminanti cavicorni, dei
cervidi, dei girafidi, corna epidermiche nasali dei rinoceronti; zanne: canini
e incisivi dell’ippopotamo, canini dei suidi (cinghiale, facocero, babirussa),
dei ruminanti tragulidi (moschi), dei camelidi, dei trichechi; incisivi degli
elefanti; appendice nasale e proboscide dell’elefante e del tapiro, labbra
estensibili dei sireni e di numerosi erbivori.
I Prensili sono onnivori o carnivori, le loro estremità hanno quattro o cinque
dita funzionali e quella anteriore è in grado di assicurare la prensione: molti
di essi possono assumere la posizione seduta per liberare la mano, il cranio
conserva il tipo architettonico dei Rettili teromorfi, modificato
progressivamente dall’evoluzione posturale; infine, non hanno appendici
facciali particolari. Questa classificazione comporta eccezioni poco numerose
ma molto caratteristiche, come quella dell’elefante, che è erbivoro ma dispone
di una mano vera e propria, e quella del cane, che è carnivoro ma ha gli arti
costruiti per la marcia. Nell’uno e nell’altro, la costruzione cranica segue la
tipologia funzionale della mano.
… I più soprendenti sono i Roditori, i quali si sud in due gruppi: l’uno
assolutamente erbivoro (come la lepre), la cui prensione è inesistente, l’altro
onnivoro (come il topo)nel quale la posizione seduta e la prensione hanno
grande importanza.
Fin dall’inizio, lo studio dei Mammiferi porta come conseguenza a porre il
problema della mano, quello della faccia
e quello della postura di prensione, i quali sono, in realtà, un unico
problema, legato direttamente alla costruzione del corpo dell’uomo. Dato che la
storia dei Teromorfi marciatori è ricca di insegnamenti, parleremo di essi
brevemente, prima di abbandonarli sulla strada sulla quale li ha messi
l’evoluzione, che non conduce all’uomo.
L’Eocene, primo periodo del Terziario, circa cinquanta o sassanta milioni di
anni fa, presenta la diffusione dei Mammiferi in forme che sono considerate i
ceppi degli ordini ancora esistenti. Di dimensioni modeste, come i conigli o i
montoni, essi presentano caratteristiche molto generalizzate: cinque dita alle
estremità, denti frantumatori poco specializzati, e una sagoma molto
uniforme, bassa e allungata. Tuttavia, tra i marciatori e i prensili le scelte
sono state già fatte, probabilmente da molto tempo; se non esistono ancora veri
e propri felini, veri e prorpi canidi, veri e propri cavalli o rinoceronti,
veri e propri ruminanti, l’esame degli scheletri dimostra che essi si
suddividono nei due gruppi teromorfi principali e che anche il gruppo dei
priomati è differenziato.
I marciatori, fossili e attuali, sono caratterizzati dalla dentatura lunga,
adatta a maciullare vegetali fronzuti. Non c’è dubbio che questo adattamento
sia avvenuto a partire da forme a dentatura normale, equilibrata rispetto alla metà della distanza
prosthion-basion; perché il loro cranio è costruito sul centro geometrico al
quale si aggiunge un centro supplementare dietro ai molari. Le appendici
craniche, corna o palchi, si integrano alle linee meccaniche generali secondo
forme che variano da una specie all’altra, ma restano sempre notevolmente
coerenti. Non si usa più lodare l’ingegnosità della natura, ma quando si
analizzano le soluzioni meccaniche alle quali rispondono il cranio del cavallo,
o quelli del cervo, del cammello e del rinoceronte, si resta sorpresi,
malògrado tutto, di come lo schema fondamentale, sempre lo stesso, risponda a
situazioni sempre dissimili. La costruzione del cranio dei prensili abbonda di
soluzioni imprevedibili per conciliare il cervello e i canini, ma essa è ben
lontana dal presentare i problemi che sorgono quando, come nei marciatori, occorre
integrare nell’equilibrio generale una dentatura gigantesca e tutta
l’attrezzatura tecnica facciale da cui la mano non ha ancora liberato il
cranio. La varietà e la minuziosità delle operazioni tecniche dei Mammiferi
evoluti si risolve per i marciatori (nei quali tutto si concentra nell’edificio
cranico) con l’enorme complessità della costruzione.
Nei Prensili, la complessità è ripartita tra la faccia e la mano, e il
dispositivo generale resta semplice quanto alla struttura. La mano a cinque
dita, ereditata dagli anfibi dell’Era primaria, non ha subito la profinda
elaborazione di quella del bue o del cavallo; la spalla conserva la mobilità
laterale, il radio e il cubito invece di essere strettamente solidali
sviluppano le loro possibilità di supinazione; lo scheletro si orienta nel suo
insieme verso una maggiore elasticità di
movimenti. La costruzione cranica dei Prensili teromorfi, per la maggior parte carnivori o roditori, è
equilibrata in modo semplice; la legge di divisione tra il cranio cerebrale e
il cranio dentario è costante. La loro organizzazione, tra le specie più
evolute, è giunta al massimo grado
compatibile con la locomozione quadrupede, realizzando alcune forme, come il
castoro, il topo, o l’orso lavatore, nei quali l’attività manipolatrice
raggiunge un livello molto alto.
Il pitecomorfismo.
La scala zoologica, così come l’hanno
ordinata gli zoologi, consente di rendersi conto non solo delle differenze
nette tra i gruppi animali, ma anche dei rapporti che li uniscono, talchè è
possibile riconoscere qualcosa del quadrupede nelle scimmie, qualcosa della
scimmia nell’uomo. Come abbiamo visto nel capitolo 1, questo atteggiamento ha portato a tessere la
trama della evoluzione prima che nascesse la Paleontologia e a fare della
scimmia un intermediario morfologico tra
noi e la folla dei Teropodi. Dal punto di vista funzionale, l’insieme dei
quadrumani costituisce un mondo animale ben distinto, altrettanto lontano dai
quadrupedi quanto dai bipedi, basato su un dispositivo posturale unico, che permette
di alternare la locomozione prensile e la posizione seduta più o meno
raddrizzata. La liberazione temporanea della mano esistente nei Teromorfi
prensili è qualcosa di simile, ma senza rapporto di identità funzionale. Le
scimmie sono infatti i soli Mammiferi a prensione costante, sia durante lo
spostamento arboricolo che durante le operazioni manuali della posizione
seduta. Gli altri Mammiferi arboricoli si aggrappano più o meno tutti con gli artigli, quando afferrano i rami tra
le dita e il pollice, che è opponibile. La prensione esiste anche nei Roditori
o i Carnivori, ma si tratta anche in questo caso di prensione artigliata.
Questa constatazioni fanno risaltare lo stretto legame che esiste tra la
locomozione e la prensione. La seconda è funzione derivante dalle
caratteristiche della prima. Nelle scimmie, la mano anteriore e la mano
posteriore sono strumenti dello spostamento; la mano anteriore da sola è uno
strumento di carattere tecnico. La prensione locomotrice ha fatto delle scimmie
i Primati, così come la locomozione bipede ha originato gli Antropiani. Il pitecomorfismo è caratterizzato quindi,
innanzitutto, da una liberazione posturale collegata alla quadrumania
locomotrice; le altre caratteristiche, per importanti che siano, sono semplici
corollari.
Se fosse necessario mettere in risalto ancora più chiaramente il legame che
unisce tutte le caratteristiche dei Primati al loro apparato locomotore,
basterebbe prendere in considerazione una serie
costituita dalle mani del colobo, del cercopiteco, del macaco e del
gorilla per constatare che lo sviluppo del dispositivo per l’opposizione delle
dita sempre più efficiente e preciso, corrisponde a una locomozione sempre più
basata sulla preminenza della prensione della mano rispetto a quella del piede,
a una posizione seduta sempre più raddrizzata, a una dentatura sempre più
corta, a operazioni manuali sempre più
complesse e a un cervello sempre più sviluppato.
L’edificio cranico dei Primati rispecchia esattamente questa unotà delle
caratteristiche funzionali. Il vincolo fondamentale tra il cranio e la
struttura posturale è, come si
ricorderà, il basion, bordo anteriore del forame occipitale. Situato dietro il
cranio presso i Teromorfi e tutti i Vertebrati inferiori, il forame occipitale
è aperto obliquamente verso il basso nelle scimmie. Questa disposizione è la
conseguenza diretta del comportamento posturale al quale corrisponde una
colonna vertebrale atta a conformarsi alle due posizioni quadrupede e seduta.
Nella serie di scimmie sopra ricordate si nota che la posizione del forame
occipitale è in rapporto diretto con il grado di raddrizzamento nelle due
posizioni, così che il gorilla in posizione quadrupede è diritto quanto il
colobo in posizione seduta.
Questa banale constatazione circa il rapporto tra il forame occipitale e le
posizioni vertebrali comporta una serie di conseguenze craniche molto
importanti. Effettivamente, la base prosthion-basion appare notevolmente
accorciata, cioè la dentatura e la faccia sono molto più corte di quelle dei
Teromorfi. La leva basion-inion è abbassata, e, per la prima vota nel regno
animale, la volta cranica sfugge parzialmente agli sforzi della
sospensione. Nel capitolo seguente
esamineremo la relazione tra questo fatto meccanico e lo sviluppo del cervello.
Se la volta cranica sfugge agli sforzi della sospensione, la base del cranio
sfugge anch’essa agli sforzi di trazione dell’apparato mandibolare e il blocco
facciale si rende autonomo rispetto al cranio cerebrale. Il cranio facciale
fissa le linee di costruzione di un triangolo che congiunge il prosthion, il
basion e il cuscinetto delle orbite. Così si spiega la formazione nei Primati,
di quella massa ossea compatta che costituisce una vera e propria visiera al di
sopra della faccia. La liberazione della
volta cranica avviene di conseguenza partendo dalla parte posteriore del
cranio, dato che, nei Primati come negli Antropiani primitivi, la regione
prefrontale si trova sbarrata dal blocco orbitale. Nel capitolo seguente
vedremo come un nuovo rimaneggiamento dell’edificio facciale faccia perdere a
poco a poco agli Antropiani la visiera frontale, e consenta l’espansione
frontale della volta.
Considerazioni generali sull’evoluzione fino ai Primati
Qualunque sia
il loro orientamento metafisico o razionalitsta, quali che siano le spiegazioni
che essi danmno del fatto, gli evoluizionisti sono unanimi nel ritenere che la
corrente dalla quale siamo trascinati è la corrente dell’evoluzione. Il
lichene, la medusa, l’ostrica o la tartaruga elefantina non sono altro, come
pure i dinosauri giganti, che cascami del filone principale diretto verso di
noi. Anche supponendo che si tenda a
considerare gli esseri allineati dietro di noi come rappresentanti di una sola
branca dell’evoluzione (quella che porta all’intelligenza, a differenza delle
altre che vanno verso altre forme di compimento non meno onorevoli),
l’evoluzione verso l’uomo permane ed è legittimo scegliere gli anelli
esplicativi.
Che, come nella filosofia bergsoniana o teilhardiana, si veda nell’evoluzione
il segno di uno slancio, di una ricerca generale della coscienza che porta
all’homo sapiens, o che vi si veda (il che è lo stesso sul piano materiale) un
determinismo che porta a forme viventi sempre più adatte ai moventi dello sfruttamento della materia,
il comportamenmto della massa da cui esce lìuomo resta lo stesso. Sotto la sovrastruttura delle delle spiegazioni, l’infrastruttura dei fatti
si risolve nello stesso sistema.
Il
mondo vivente è caratterizzato dallo sfruttamento chimico-fisico della materia.
Ai due estremi figurano due modi di sfruttamento che implicano, rispettivamente
la valorizzazione della materia attraverso quello che potrebbe chiamarsi un
accostamento diretto della molecola sfruttata da parte della molecola
sfruttatrice, come per i virus, e una consumazione in un certo senso
gerarchizzata che sfrutta la materia inerte attraverso una catena di esseri
viventi, come per l’uomo che mangia il bue al termine di una lunga fila in cui
si sussegue chi mangia e chi è mangiato. Questo secondo modo è d’altronde,
identico al primo, perché si conclude con uno scontro di molecole nel corpo del
mangiatore, ma da più di un miliardo di anni guida una parte degli esseri
viventi sulla via della ricerca del contatto cosciente.In questa ricerca si risolve tutta l’evoluzione, perché la spiritualità,
come pure l’indagine filosofica e scientifica, occupano la parte più alta della
ricerca di un contatto calcolato. Questo
contatto a tutti i livelli si esercita mediante le due trame coordinate
dela struttura corporea e del sistema nervoso. Per molti evoluzionisti,ed è il
caso di Teilhard de Chardin, il fatto significativo è lo sviluppo sempre
maggiore del cervello e delle sue dipendenze nervose. Dato che, in definitiva,
il cervello è il supporto del pensiero, e noi siamo riusciti meglio di altri in
questa direzione dell’evoluzione, è legittimo ritenere che l’accrescimento, la
“complessificazione” del dispositivo cerebrale rifletta esattamente i progressi
costanti della materia vivente nella ricerca del contatto cosciente. Bisogna
ammettere inoltre che la struttura corporea e il sistema nervoso formano un
tutto unico e che sarebbe artificioso e arbitrario separarli. Sembra, tuttavia,
che questo postulato risolva solo imperfettamente i problemi sollevati dalla
base documentaria. Senza dubbio l’uomo costituisce un tutto unico, ma il corpo
e le manifestazioni dello spirito sono sempre stati percepiti separatamente, e
le religioni come le filosofie hanno tratto alimento da questa distinzione. Che
il cervello sia l’organo del pensiero o il suo strumento non cambia niente nei
rapporti tra il corpo e il sottile reticolo delle fibre che gli danno vita:
l’evoluzione si traduce, materialmente, in una duplice successione di fatti: da
una parte, il perfezionamento cumulativo delle strutture cerebrali, dall’altra
l’adattamento delle strutture corporee secondo regole direttamente legate
all’equilibrio meccanico di quella macchina che è l’essere vivente e mobile.
Tra cervello e struttura i rapporti sono quelli intercorrenti tra contenuto e
contenente, con tutto ciò che si può immaginare di interazioni evolutive, ma
(per la loro stessa natura) contenuto e contenente non sono assimilabili. La
conferma di questa posizione è basata sulla concatenazione storica dei
documenti: le formule meccaniche come quella dei Vertebrati quadrupedi appaiono
molto presto, animate da un cervello assai ridotto. A partire dall’acquisizione
di un tipo meccanico determinato, in modo diverso secondo i gruppi, si assiste
all’invasione progressiva del cervello e al miglioramento del dispositivo
meccanico mediante un gioco di adattamenti in cui la partecipazione cerebrale è
evidente, ma in quanto determina dei vantaggi nella selezione naturale dei
tipi, non perché orienti direttamente l’adattamento fisico.
Il limite evoilutivo si raggiunge quando il volume cerebrale equivale a tutto
lo spazio meccanicamente disponibile; le specie entrano allora nella loro fase
di compiutezza che, per molte, sembra corrispondere a una lunga sosta. Tale è
almeno il caso di quelle per cui vioe di
affrancamento meccanico sono chiuse, come i mammiferi erbivori.
In altri gruppi invece, il dispositivo corporeo resta disponibile ad
adattamenti rivoluzionari e i paleontologi hanno notato da molto tempo che sono
stati i gruppi meno specializzati ad avere dato origine alle forme
cerebralmente più evolute.
Questo aspetto dell’evoluzione è atto a far risaltare gli stretti legami tra le
due tendenze, quella del sistema nervoso e quella dell’adattamento meccanico.
Se si osserva il caso dei Primati, ci si rende conto del fatto che la formula
del quadrumane corrisponde a una estrema specializzazione corporea, partendo
tuttavia da uno stadio in cui sono conservati gli arti a cinque dita del
Vertebrati primitivi. Questo adattamento è lo stesso, come principio, per tutti
i quadrumani, ma presenta variazioni interne notevoli da una specie all’altra,
variazioni che riguardano a un tempo il
comportamento, le posture di attività e la struttura fisica. Le specie la cui
struttura corporea corrisponde alla maggiore liberzione della mano sono anche
quelle il cui cranio è in grado di contenere il cervello più grande, dato che
liberazione della mano e riduzione degli sforzi della volta cranica sono due
termini della stessa equazione meccanica.
Per ogni specie vi è un ciclo di collegamento tra i suoi strumenti tecnici, cioè il corpo,
e i suoi strumenti organizzativi, cioè il cervello, ciclo nel quale, attraverso
l’economia del suo comportamento, si apre la via di un adattamento selettivo sempre
più pertinente. Le possibilità di sviluppo evolutivo perciò sono tanto maggiori
quanto più il dispositivo corporeo si presta a plasmare il comportamento
mediante l’azione di un cervello sempre più sviluppato; in questo senso il
cervello guida l’evoluzione, ma resta inevitabilmente condizionato dalle
possibilità di adattamento selettivo della struttura.
Sono queste le ragioni che mi hanno indotto a prendere innanzitutto in
considerazione, nell’evoluzione, le condizioni meccaniche dello sviluppo.
L’influenza sui fatti in esse riscontrabile dà una sicurezza notevole. Quando in cento specie diverse si ritrovano,
entro gli stessi principi architettonici, le stesse conseguenze imposte dagli
sforzi meccanici, diventa possibile fissare le condizioni senza le quali
l’evoluzione cerebrale resterebbe un fenomeno astratto.