Il Tutto è necessariamente vero, perché se fosse falso non potrebbe essere tutto, mancando sempre il vero.
E se non fosse vero dovrebbe esistere qualcosa oltre al tutto che sia vero, il che è impossibile.
Che il tutto sia vero significa che vero è solo il tutto. Cioè che non può esistere una verità parziale, ma solo la verità per sé di una parte, che è non-verità per il tutto.
Significa cioè che una parte non può conoscere il vero, ma solo chi può percepire e comprendere il tutto può conoscere il vero.
Ma il vero non è qualcosa di misterioso, o qualcosa che salva.
E’ solo la somma di ogni non-verità parziale. La somma delle necessità di tutto ciò che esiste, percé la verità non-verità di ogni cosa non è che la sua necessità.
Se consideriamo l’essere come un Tutto, cioè per quella molteplicità di aspetti quale in effetti è, risulta per analogia che la verità di ogni singolo aspetto dell’ essere (cioè la percezione della realtà che ha quel singolo aspetto) è una non-verità, corrispondente alla necessità di quel singolo aspetto. Esiste cioè la realtà del nostro aspetto triste, la realtà dell’aspetto felice, di quello che ha fretta, di quello contemplativo, di quello che ha mal di stomaco, e sono tutte verità parziali, cioè verità di una parte, dunque non-verità, nel senso che sono tutte verità una diversa dall’altra, il che è una cosa che non si può dire, essendo la verità necessariamente una. E dunque questa verità, cioè la percezione della realtà come essa è veramente, non può che essere la somma delle non-verità di ogni singolo aspetto che siamo. Il che significa che la verità, cioè la realtà, non è per noi accessibile, non essendo in grado noi, per l’ordinario, di avere coscienza unitaria della molteplicità dei nostri diversi aspetti. L’unica verità cui possiamo aspirare è una non-verità parziale, diversa per ogni nostro singolo aspetto.
Questo è anche il motivo per cui siamo portati a cercare – e spesso ahimè, a trovare – la verità fuori di noi.