La misura dell’Essere

1. L’arte  in quanto affermazione del Sé.

L’arte svolge due differenti funzioni, tra di esse complementari.
Può essere  uno strumento di controllo, quando è l’esito formalmente elevato di un processo di acquisizione volto al controllo di un dato oggettivo; tale controllo viene esercitato attraverso la decorazione o la rappresentazione (Leroi Gourhan).
La decorazione serve a prendere possesso dell’oggetto, sottraendolo all’uso indistinto e quotidiano, attribuendogli il senso e il valore del Sé attraverso l’espressione applicata del proprio saper fare, e facendo propria in questo modo anche l’azione che l’oggetto consente, astraendola dall’indistinto naturale per farla diventare azione individuale, atto del soggetto contro l’anonimità del tutto. In questo modo la decorazione diventa racconto e affermazione di sé.
Ma il Sé e l’oggetto si trovano nel mondo, che dunque diventa necessario com-prendere, ovvero anche di esso, nella sua interezza, diventa necessario prendere possesso. Per questo del mondo costruiamo una rappresentazione, che altro non è che una ricostruzione della realtà semplificata e orientata da una serie di filtri da noi stessi predisposti, e ridotta in questo modo all’interno di una griglia di interpretazione costituita dalla forma del nostro ragionamento. Così è’ la forma del nostro ragionare che dà luogo e forma alla realtà, che in questo modo diventa il nostro paesaggio, cioè il luogo a nostra immagine e misura, all’interno del quale esistiamo, e possiamo muoverci in sicurezza.
(Questa consapevolezza, che è il fondamento dell’idealismo di ogni epoca, Nietzsche spogliò di ogni ornamento finalistico e teleologico, calandola nel concreto della “chimica delle idee e delle passioni” e restituendocela nella sua vera natura di “limite” invalicabile della conoscenza, anche oltre Kant: non possiamo neanche fare affidamento sulla cosa in sé, che per quanto inconoscibile tuttavia manteneva accesa la speranza della verità, perché non esiste nessuna cosa, essendo ogni cosa una nostra invenzione – cioè essendo ogni cosa che percepiamo solo ciò che siamo riusciti a cogliere, isolando, semplificando e interpretando le informazioni che la cosa ci trasmette).

Quando il segno utilizzato per la decorazione o per la rappresentazione assume valore per sé, per la qualità della fattura o per la capacità di evocare quel dato im-mediato che costituisce il fondo comune di ogni esperienza – il che può avvenire attraverso un processo di riduzione e di astrazione, ma anche di sovrapposizione o di sovraesposizione, cioè di alterazione controllata del segno – si parla di arte.

L’affermazione del Sé come fattore che impedisce la conoscenza.
Questo esercizio di affermazione del Sé, che attraverso l’arte si manifesta e che è prodotto stesso di questa attività, e che si dà su base istintiva e dunque si costituisce come necessità, è legittimo fino al punto in cui rimane fedele al suo ambito, cioè il controllo del territorio, interiore ed esteriore. Ma è allo stesso modo fuorviante, perché l’affermazione del Sé diventa automaticamente domanda su ciò che esiste al di fuori del Sé, sullo sfondo dal quale il Sé ritaglia la sua forma. Tra l’affermazione del Sè e la domanda sull’altro c’è un rapporto di conseguenzialità, perché l’uno è momento fondante dell’altro, perché l’affermazione del Sé, di ogni Sé,  implica necessariamente la necessità di conoscere ciò che è oltre il Sé: non si potrà mai conoscere una cosa se non si conosce ciò da cui si differenzia, e non si potrà mai conoscere sé stessi se non si conosce in cosa consiste la sestessità di noi stessi, la quale si può definire solo per differenza, cioè elencando le differenze che si riesce a cogliere rispetto all’altro.

E per rispondere a questa domanda il Sé non può che utilizzare l’unico strumento che ha a disposizione, cioè se stesso; in questo modo l’affermazione di sé diventa strumento di conoscenza del dato oggettivo, il che naturalmente è impossibile, essendo soltanto soggettivo il modo in cui ogni nostra azione, intesa anche come atto di pensiero, può darsi.
L’affermazione di sé è quindi tentativo di conoscenza. L’uomo non arriva mai a capire quanto la sua natura sia antropomorfica, disse Goethe, e tanto meno arriverà mai a capire quanto antropomorfica sia la natura del reale, possiamo aggiungere – ivi compresa naturalmente anche la “cosa in sé”.
Un tentativo destinato a fallire, quindi, perché lo strumento utilizzato non è adatto a perseguirlo,  non potendo conoscere noi, di noi stessi, e della realtà, altri aspetti se non quelli che la realtà che noi stessi abbiamo formato ci restituisce come riflesso di noi stessi. 

“Fino a che punto si estenda il carattere prospettico dell’esistenza, o se essa addirittura non abbia oltre a ciò un altro carattere,  se un’esistenza senza spiegazione, senza “senso”, non diventi appunto un “nonsenso”, se, d’altra parte, ogni esistenza non sia già essenzialmente un’esistenza che spiega – tutto questo, com’è giusto, non può essere deciso nemmeno attraverso la più diligente analisi, l’autoindagine dell’intelletto più penosamente coscienziosa; infatti, in questa analisi, l’intelletto umano non può fare a meno di vedere se stesso sotto le sue forme prospettiche e soltanto in esse. Non possiamo girare con lo sguardo il nostro angolo:  è una curiosità disperata voler sapere quali altre specie d’intelletto e di prospettive potrebbero ancora esserci: per esempio, se chissà quali esseri possono avvertire il tempo a ritroso, oppure alternativamente in senso progressivo e regressivo (con la qual cosa sarebbe data un’altra direzione della vita e un altro concetto di causa ed effetto).  Ma io penso che oggi per lo meno siamo lontani dalla ridicola presunzione di decretare  dal nostro angolo che solo a partire da questo angolo si possono avere prospettive. Il mondo è piuttosto divenuto ancora una volta per noi “infinito”: in quanto non possiamo sottrarci alla possibilità che esso racchiuda in sé interpretazioni infinite…”
(Nietzsche, Gaia Scienza, 374)

Dunque niente può dirci, ciò che è fuori di noi, rispetto a noi stessi, di più di quello che già sappiamo. E niente possiamo dire noi di ciò che esiste al di fuori di noi, di diverso da ciò che siamo.

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