Promemoria per la Chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia
I Aprile 1535. Per condur la fabrica della Chiesa con quelle debite e consonantissime proporzioni, che si può, non mutando cosa alcuna di quello che è fatto, io proseguirei in questo modo.
Vorei che la larghezza del corpo della Chiesa fusse passa IX, che è il quadrato del Ternario, numero primo et divino, et che con la lunghezza di esso corpo, che sarà XXVII, habbi la proporzione tripla, che rende un diapason et diapente. Et questo concerto, mistero et armonia è tale, che volendo Platone descrivere la consonantissima partitione et fabrica del mondo nel Timeo, lo tolse per fondamento et prima descritione, moltiplicando quanto facea bisogno, quelle medeme proportioni, et numeri con le debite regole et consonanze, sino che hebbe compreso tutto il mondo et ogni suo membro et parte.
Volendo dunque nui fabricar la Chiesa, havemo a riputar cosa necessaria et elegantissima a seguir quest’ordine, havendo per maestro et authore il somm’architettor Iddio: il qual volendo instruere Mosè della forma et proportione del tabernacolo, che egli havea a fare, li diede per modello la fabrica di questa casa mondana, dicendo (sì com’è scritto nell’Esodo al vigesimoquinto) Guarda et fà secondo l’esemplare, che ti è mostrato nel monte. Il qual esemplare, secondo l’openione di tutti li saggi, fu la fabrica del mondo. Et meritamenti, perche il dover era, che havesse il luogo particolare simel’alla suoa machina granda, non in quantità, della qual egli non ha bisogno, ne diletto, ma simile in proportione, la qual egli vole non solamenti nelli luoghi materiali ove habita, ma singolarmenti in nui delli quali dice Paolo scrivend’alli Corinthi. Il tempio de Dio siete voi.
Il qual mistero ponderando il sapientissimo Salomone diede le medeme proportioni del tabernacolo mosaico al tempio con tanta celebrità fabricatto.
Seguendo dunque nui queste medeme proportioni, si contentaremo nella lunghezza del corpo della Chiesa del numero di XXVII; che è numero triplo alla larghezza, et cubo del ternario; oltr’al quale Platone nella descritione del mondo non volse passare, et Aristotele nel primo del Cielo havendo nelle mani le misure, et forze della natura non ha vogliuto, che oltra di quello si puossi passar in un corpo.
Vero è, che si puotrebbono grandire le misure et numeri. Ma stando sempri in quelle medeme proportioni. Et chi presomesse di trascendere farebbe un mostro, spezzate et violate le leggi naturali.
A questo dunque corpo perfetto, et compitto li daremo il capo, ch’è la cappella granda, quant’alla lunghezza, nella medema proportione di equalità, o vero simetria, che si ritrova cadauno delli tre quadratti, che sono nel corpo, cioè di passa IX. Ne giudico ispediente, che la sii di quella medema larghezza che è il corpo, il qual non degge passar (si com’habbiamo detto) il XXVII. Ma che la sii di VI passa, come un Capo aggionto sopra il corpo proportionato et compito. Et harà proportione con la larghezza della Chiesa di una sesquatera, che rende el diapente, una delle celebratte harmonie. Et perche comunementi gli architetti luodano la simetria della capella con le ale dalle bande si contentaremo di fare queste ale larghe VI passa in conformità di essa cappella. Et ritornando alla lunghezza, annomerando la lunghezza di detta capella col corpo, in rispetto alla larghezza è una proportione quadrupla, che fa un bisdiapason, harmonia consonantissima. Dalla qual simetria non si partirà il choro: il qual sarà in lunghezza di altri IX passa, et arrivarà alla proportione quincupla in rispetto alla larghezza: che ne dà la bellissima armonia di un bisdiapason et diapente.
La larghezza veramente delle capelle serà di III passa in proportione tripla col corpo della Chiesa. Et rende un diapason et diapente. Et colla larghezza della capella grande sarà dupla, che dà el diapason. Né mancherà di proportione con le altre capelle, che saranno appresso la capella grandi con li suoi scontri, che saranno di IV passa in proportione sesquiterza, che rende il diatessaron, proportione celebrata.
Per muodo che tutte le misure del piano, si in lunghezza, come in larghezza saranno consonantissime; et per forza daranno diletto a che le veggiarà, salvo se i loro occhii non fussero oblichi, et disproportionati. Quanto veramenti a gl’altari delle capelle, luodo, che siino fuori del quadro da capella, separatti da essa per balaustri ò vero quadri siccome un sanctum sanctorum, nel quali non puossi entrare se non il sacerdote col suo ministro. Et questo si servarà in tutte le capelle, eccetto che nelle duoe false nelle quali non si potrà servare quest’ordene. Luodo che si tenghi la Chiesa alta dalla strada comune, et tanto più le capelle, quanto saranno li tre gradi, per li quali si ascenderà a quelle: si come sempri è stà openione di tutti: et già è datto prencipio nella capella grande, et choro. Il volto luodo, che si facci in tutte le capelle et in choro: Imperocchè il dir, o cantar dell’Ufficio meglio rimbomba nel volto, che nella travadura. Ma nel corpo della Chiesa, ove si ha a predicare (conciossia che le prediche non reescino, ne sintendino nelli volti) luodo la contiguatione. Ben la vorrei in quadri sfondratti, al più che si può, con le suoe misure et proportioni perhò. Li quali quadri siino tocchatti secondo l’arte di biso colore a nui convenevole, grave et durativo più che gli altri. Et questi sfondri i luodo, fra le altre ragioni per esser molto convenevoli al predicare: il che sanno li periti dell’arte et l’esperienza li comprobarà. Hor divenend’a l’altezza, luodo quella hà datto M. Giacomo Sansovino nel suo modello, che è di 60 piedi, ò vero passa XII, in proporzione sesquiterza alla larghezza, che rende un diatessaron, harmonia celebre et consonante.
Et cusì di tutte le altre altezze della capella grande, mediocri, et picciole trovandole proportionate in esso modello, non mi estenderò in esprimere in particolare. Simelmenti luodo gli ordini delle collone, et pillastri, essendo designati secondo le regole dell’artificio dorico: il qual approbo in questa fabbrica, per esser convenevoli al Santo, a che è dedicata la Chiesa et alli frati, chi hanno ad ufficiar in essa. Resta ultimamenti a parlare del frontale, il qual desidero sii nullo modo quadro, ma corrispondent’alla fabrica dentro. Et che per esso si puosi comprender la forma della fabbrica, et le suoe proportioni. Acciò che di dentro, et di fuori sii tutta proportionata. Et questa è l’ultima intentione nostra alla quale concorrono con noi non solamenti li Prothi, ma etiando gli infrascritti Padri, cioè il R.do p. Ministro colli Diffinitori. Si che nulla harà ardir, né libertà più di mutar cosa alcuna.
Io F. Francesco Georgio ad istantia del Seren. P. ho fatto la sopranottata descritione acciò che ugnun intenda, che quel che si fa in questa chiesa si fa con buoni ragioni, et proportioni, et così laudo, et prego che si debba fare.